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Indice glicemico e risposte postprandiali all'assunzione di amidi puri e diete estruse nel cane e nel gatto.


mercoledì 15 marzo 2023


Indice glicemico e risposte postprandiali all'assunzione di amidi puri e diete estruse nel cane e nel gatto

L'indice glicemico è stato a lungo utilizzato in nutrizione umana per classificare gli alimenti, in base alla rapidità con cui fanno aumentare la glicemia dopo la loro assunzione, e al tempo necessario per far tornare i livelli di glucosio ematico in linea con quelli rilevati a digiuno

L'indice glicemico di un alimento viene valutato confrontando l'aumento dei livelli di glucosio nel sangue dopo l'assunzione di una porzione di quel cibo rispetto all'aumento dei livelli di glucosio dopo l'assunzione di una porzione di glucosio.

La risposta glicemica viene espressa come un'area sottesa alla curva di incremento dei livelli di glucosio nel sangue prelevato a intervalli regolari. Generalmente i prelievi, nell'uomo, vengono effettuati dopo 15, 30, 45, 60, 90 e 120 minuti dall'assunzione dell'alimento.

Assegnato 100 come valore all'area sottesa alla curva riferita al glucosio, l'indice glicemico degli altri alimenti viene espresso come un valore percentuale rispetto a quello del glucosio.

In generale, alimenti con un valore inferiore a 55 vengono considerati a basso indice glicemico, quelli tra 56 e 69 a medio indice glicemico e quelli con valore superiore a 70 ad alto indice glicemico.

Alimenti come piselli, lenticchie e fave hanno valori di indice glicemico basso, mentre cereali come il mais presentano indice glicemico elevato.

Le patate, invece, presentano un indice glicemico variabile a seconda della varietà e del metodo di cottura. Le patate bollite hanno, per esempio, un indice glicemico più basso rispetto a quelle cotte al forno o fritte.

L'importanza di questo valore in nutrizione umana è legata a numerosi studi che associano l'uso di alimenti a basso indice glicemico a una riduzione di incidenza di iperglicemia postprandiale ma anche di obesità, insulino resistenza, diabete di tipo 2 e malattie cardiovascolari.

Una delle ragione potrebbe essere legata all'aumento della formazione di metilglosside che avviene a seguito dell'aumento della glicemia postprandiale.

Il metilglosside è un metabolita tossica del glucosio che viene associato a stati di ipertensione, irrigidimento arterioso nonché a diabete di tipo 2 e insulino-resistenza.

L'indice glicemico viene tenuto in considerazione soprattutto nelle diete di persone affette da diabete poiché l'assunzione di alimenti a basso indice glicemico sembra migliorare il controllo glicemico postprandiale e la sensibilità insulinica.

Diverso, invece, è il discorso legato a un possibile utilizzo di alimenti a basso indice glicemico come forma di prevenzione per lo sviluppo di diabete.

Studi in medicina umana hanno dato risultati contrastanti: alcuni mostravano che diete a basso contenuto glicemico potevano ridurre i rischi di sviluppare diabete di tipo 2 mentre altri non mostravano alcuna correlazione tra l'indice glicemico e lo sviluppo di diabete.

Ma l'indice glicemico, studiato sull'uomo, può essere applicato anche ai cani e ai gatti?

Prima di rispondere a questa domanda non bisogna dimenticare che cani e gatti presentano importanti differenze nella capacità di digerire gli amidi rispetto all'uomo, e che queste diversità ci sono anche tra le due diverse specie.

L'addomesticamento del cane, definito ad oggi carnivoro adattato, ha aumentato la sua capacità di digerire e metabolizzare l'amido attraverso l'aumento delle copie geniche di amilasi pancreatica e del trasportatore del glucosio presente nella membrana intestinale apicale.

Al contrario, i gatti, carnivori stretti, presentano una bassa attività enzimatica per la digestione degli amidi ma, in questa specie, non sono mai state chiarite le relazioni tra la digestione dell'amido, l'assorbimento del glucosio e la tolleranza ad esso, nonché la sensibilità all'insulina.

Fino a poco tempo fa gli studi sull'indice glicemico dei diversi alimenti in cani e gatti erano praticamente assenti.

Esistevano due studi risalenti al 2012 e al 2015 sui cani in cui si era evidenziato come pasti a base di carboidrati semplici facessero aumentare il metilglosside e diminuissero la funzione vascolare postprandiale. Inoltre, in questi studi veniva attribuito un valore di indice glicemico, nel cane, di 29 per i piselli interi macinati, di 55 per il riso bianco e di 47 per la farina di mais.

Nel 2021, invece, è uscito un articolo molto interessante, open access, di cui riportiamo il link per la lettura nella bibliografia, che aveva come scopo quello di valutare il glucosio e l'insulina postprandiale, nonché il metilgliossale, in cani e gatti alimentati con diverse fonti di amidi puri e con diete estruse per verificare se il concetto di indice glicemico funzionasse anche negli animali domestici.

In particolar modo gli autori avevano ipotizzato che gli amidi puri di legumi, e di diete formulate con amidi di legumi come fonte di carboidrati, avrebbero prodotto risposte glicemiche, insulinemiche e metilgliossali postprandiali inferiori rispetto agli ingredienti comunemente usati nei mangimi per animali domestici, ossia l'amido di mais, sia nel cane che nel gatto.

Inoltre, hanno previsto che i gatti, a causa della loro minor attività enzimatica per la digestione e l'assorbimento dei carboidrati, avrebbero avuto, con tutti i carboidrati utilizzati, risposte glicemiche e insulinemiche inferiori rispetto ai cani.

Al contrario, hanno pensato che nel gatto ci sarebbe stato un aumento di metilgliossale nel sangue, causato da una minor presenza di enzimi glicolitici in questa specie rispetto al cane.

Come fonti di amido crudo sono stati utilizzati amido di mais non modificato, amido di mais modificato (idrossipropilato), farina di piselli gialli, farina di fave, farina di lenticchie gialle, amido di tapioca, farina di grano e fecola di patate.

Le fonti di amido modificato, la farina di piselli, quella di fave e quella di lenticchie, sono state utilizzate anche per creare diete commerciali secche che sono state successivamente somministrare agli animali oggetto dello studio, per poter paragonare le risposte glicemiche e insuliniche alla stessa fonte di amido, ma con un trattamento differente (amido puro rispetto a dieta estrusa).

Ovviamente, tutti i risultati sono stati poi paragonati ai risultati ottenuti con la somministrazione di solo glucosio.

Tutti questi alimenti sono stati somministrati come pasti singoli a cani e gatti adulti, normopeso, sterilizzati utilizzando la metodologia utilizzata in umana per i test dell'indice glicemico.

L'unica differenza rispetto ai protocolli umani sono stati gli aggiustamenti nelle dimensioni del pasto e nei tempi in cui è stato prelevato il sangue per adattarsi meglio alla fisiologia del cane e del gatto.

In particolar modo, gli animali sono stati alimentati con quantità di cibo che fornissero un 1gr di carboidrato disponibile per chilogrammo di peso vivo dell'animale e i prelievi sono stati effettuati, nel cane, a digiuno e a 15, 30, 45, 60, 90, 120, 150 e 180 minuti dopo l'assunzione del pasto, mentre nel gatto, oltre a quello preprandiale, il sangue è stato prelevato a 15, 30, 60, 120, 180, 240 e 300 minuti dopo il pasto.

La ragione risiede nel fatto che nella specie felina il picco glicemico si evidenza dopo un maggior tempo dall'assunzione del pasto, oltre al fatto che è necessario un tempo maggiore affinché la glicemia torni a livelli simili a quelli a digiuno.

Per l'esattezza lo studio ha rilevato che nel cane sono necessarie 3 ore per il ritorno al valore basale della glicemia mentre nel gatto bisogna attendere 5 ore.

Per ciò che riguarda le risposte glicemiche postprandiali al glucosio, e agli amidi puri, i risultati hanno messo in evidenza che nel gatto i picchi glicemici erano più bassi rispetto a quelli del cane per tutti gli amidi, ad eccezione del glucosio puro e dell'amido di mais non modificato.

Inoltre, nei gatti, i valori di glicemia postprandiale rimanevano uguali, o addirittura inferiori, rispetto ai livelli di glicemia a digiuno per tutti gli amidi, indicando una risposta glicemica trascurabile a seguito di un'alimentazione fatta con soli amidi purificati.

Al contrario, i cani mostravano un picco glicemico nel periodo postprandiale dopo la somministrazione di tutti gli amidi purificati.

Andando a calcolare l'aria sottesa alla curva dei valori di glucosio e l'indice glicemico, nel cane l'ordine dal più alto al più basso era: glucosio, amido di tapioca, farina di grano, amido di riso, amido di mais non modificato, amido di piselli, amido di mais modificato, amido di lenticchie, amido di fave e per finire fecola di patate.

Tuttavia, le differenze nei valori dell'indice glicemico per le diverse fonti di amido non sono risultate significative. Gli autori pensano che l'assenza di differenze significative sia principalmente dovuto ad un errore statistico dovuto all'ampio intervallo che assumeva l'indice glicemico nei diversi soggetti.

L'area sottesa alla curva relativa alla somministrazione di glucosio era superiore a tutte quelle degli altri amidi, eccezion fatta per la tapioca (il cui indice glicemico è risultato 93 + o - 32).

È importante specificare che l'aria sottesa alla curva relativa alla tapioca era elevata, non per la presenza di un grande picco glicemico, ma per un livello glicemico basso e prolungato nel tempo.

Nel gatto, invece, l'ordine era differente: amido di riso, farina di grano, fecola di patate, amido di tapioca, amido di mais non modificato, amido di mais modificato, amido di lenticchie, amido di piselli, amido di fave.

Tuttavia, per tutti gli amidi, l'indice glicemico è risultato basso (circa la metà del valore corrispondente nel cane) e come detto in precedenza, per la maggior parte degli amidi i picchi glicemici erano molto bassi e non significativamente differenti dai livelli di glicemia a digiuno.

Solo la farina di frumento, la farina di riso e l'amido di mais hanno evidenziato un picco glicemico significativo seppur basso.

Risultati simili, anche se con ordine leggermente differente, sono stati ottenuti dopo la somministrazione di diete estruse contenenti amido di mais modificato, amido di mais, amido di pisello, amido di fava e amido di lenticchia.

Anche in questo caso gli indici glicemici rimanevano molto bassi nel gatto e con differenze non significative tra i differenti cibi né nel cane, né nel gatto.

Per ciò che riguarda i livelli del metilgliossale plasmatico nel cane è stato osservato che l'aumento del valore postprandiale seguiva generalmente l'ordine dei valori dell'indice glicemico dei diversi alimenti mentre, nel gatto, l'entità del cambiamento nel metilgliossale plasmatico postprandiale ha mostrato una scarsa relazione con l'ordine dei valori dell'indice glicemico.

Inoltre, nella specie felina, le concentrazioni plasmatiche postprandiali di metilgliossale scendevano sotto alle concentrazioni a digiuno già dopo 60 minuti dal pasto, eccezion fatta per l'amido di pisello, oltre che ovviamente per il glucosio puro.

L'altro dato importante, e che ha sorpreso gli autori, era che non c'era differenza nei valori di metilgliossale basale tra i cani e i gatti e che questa differenza non c'era neanche dopo la somministrazione, sia del glucosio puro, che di tutti gli amidi somministrati, eccezion fatta appunto per l'amido di piselli.

Stessi risultati sono stati ottenuti dopo la somministrazione di diete estruse contenenti gli amidi, tranne che per l'amido di pisello nel gatto dove la dieta estrusa produceva basse concentrazioni di metilgliossale, in contrasto con l'alimentazione fatta con amido di pisello da solo.

Pertanto, sembra che l'estrusione e l'inserimento degli amidi in una dieta intera non modifichi le risposte del metilgliossale.

Riassumendo i risultati ottenuti, lo studio ha mostrato che i gatti presentavano risposte glicemiche inferiori ai cani per la maggior parte degli amidi e di tutte le diete estruse, rivelando che i gatti sani possono gestire bene il glucosio derivante dalla digestione degli amidi alimentari. Inoltre, nei gatti le concentrazioni postprandiali di metilgliossale sono diminuite rispetto ai valori a digiuno, al contrario del cane dove si sono evidenziati degli aumenti.

Infine, l'indice glicemico nel cane ha seguito la stessa tendenza dell'insulina mentre nel gatto le risposte glicemiche non hanno mostrato alcun legame apparente con l'indice glicemico e il valore di metilgliossale postprandiale.

Gli autori, nelle loro conclusioni, scrivono che questo studio ha dimostrato come il concetto di indice glicemico possa valere per il cane, ma non possa essere applicato ai gatti, sia per gli amidi purificati che per alimenti estrusi che li contengono.

Tuttavia, ciò non vuol dire che gli indici glicemici dei diversi alimenti calcolati in nutrizione umana possano essere applicati tal quali ai cani, infatti da questo studio emerge che in generale gli indici glicemici di un alimento sono più bassi per il cane che per l'uomo e che alimenti come le patate, che nel uomo presentano un indice glicemico elevato, nel cane invece sono tra gli alimenti con indice glicemico più basso.

BIBLIOGRAFIA:
- Jennifer M. Briens , Marina Subramaniam , Alyssa Kilgour , Matthew E. Loewen , Kaushik M. Desai , Jennifer L. Adolphe , Kyla M. Zatti , Murray D. Drew , Lynn P. Weber. Glycemic, insulinemic and methylglyoxal postprandial responses to starches alone or in whole diets in dogs versus cats: Relating the concept of glycemic index to metabolic responses and gene expression. Comp Biochem Physiol A Mol Integr Physiol 2021 Jul;257:110973 Articolo Open access visionabile al link: https://www.sciencedirect.com/science/article/pii/S1095643321000799?via%3Dihub
- Adolphe, J.L., Drew, M.D., Huang, Q., Silver, T.I., Weber, L.P., 2012. Postprandial impairment of flow-mediated dilation and elevated methylglyoxal after simple but not complex carbohydrate consumption in dogs. Nutr. Res. 32, 278–284.
- Adolphe, J.L., Drew, M.D., Silver, T.I., Fouhse, J., Childs, H., Weber, L.P., 2015. Effect of an extruded pea or rice diet on postprandial insulin and cardiovascular responses in dogs. J. Anim. Physiol. Anim. Nutr. 99, 767–776


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